Oscar Lorandi presenta Girlan al Santo Bevitore

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Sopito per qualche anno, è oggi tornato alla ribalta l’animoso dibattito intorno alla messa al bando, tra i descrittori del vino, del termine “minerale”. Scienziati, enologi ed esperti sommelier discutono se sia corretto e adeguato parlare di mineralità del vino: data infatti per certa la capacità della vite di assorbire i minerali dal terreno, sembra escluso che gli stessi arrivino a palesarsi nel calice, in forma quantomeno apprezzabile all’esame gusto-olfattivo. In attesa che il mistero venga dipanato e che i luminari concordino la linea comune, mi diverto a mescolare il mazzo. Credo che alla base del dibattito ci sia un grande equivoco, e cioè ritenere che la qualifica “minerale” debba essere legata a ciò che sta nel suolo sul quale la vite è allevata. Non è così.

Un vino rosso non profuma di lampone perché nel suolo ci stanno i lamponi, così come un riesling non profuma di kerosene perché nel suolo ci sono gli idrocarburi. Del bagaglio olfattivo di un vino non è mai responsabile un unico elemento, è una questione di “e anche”. E’ merito del clima, e anche del vignaiolo, e anche della tecnica, e anche del suolo, e anche di un sacco di altre cose. Dunque forse non merita ostracismo questo termine che, da solo, può essere assai evocativo: non è solo “profuma di questo” o “sa di quello”, anche perché vi sfido a leccare la pietra pomice o il ciottolo di fiume per dirmi che sapore abbia.

Ma finché esisteranno certi vini francesi, della Nuova Zelanda e del nord est d’Italia, sarà difficile tenere il “minerale” in punizione dietro la lavagna, a meno che non venga codificato un nuovo modo di intendere e descrivere, tutto insieme, una tensione verticale dritta e decisa, un olfatto di vento, porfido bagnato e conchiglia, e una bocca nitida e asciutta e, talvolta, di ostrica.

La cantina Girlan è una cooperativa di produttori baciati dalla fortuna per condizioni pedoclimatiche, suolo e sapienza enologica tramandata nei secoli. E sulle condizioni ricevute per buona sorte, i soci viticoltori hanno costruito una filosofia produttiva improntata sulla sostenibilità e su un’agricoltura che, benché convenzionale, rinuncia all’uso dei fertilizzanti chimici e rispetta i tempi della natura.

L’azienda produce quattro linee di vini: Solisti, Flora, Vigneti e Classici, ciascuna delle quali occupa un gradino della piramide rappresentativa delle basse rese e maggiore età della vite; alla base della piramide i Classici, al vertice i Solisti, che sono il fiore all’occhiello della produzione aziendale.

La degustazione al Santo Bevitore è guidata dal presidente della cooperativa Oscar Lorandi, che in più occasioni rimarca la missione della cantina di dare nuovo valore agli antichi vitigni altoatesini – Schiava, Pinot Bianco e Pinot Nero.

In assaggio, e in abbinamento ai piatti del Santo Bevitore, molti esempi della produzione Girlan.

Con l’antipasto a base di carpaccio, capperi, tuorlo d’uovo marinato e dadolata fine di pecorino, sono serviti Patricia Pinot Noir 2020 e 2019, Flora Pinot Noir Riserva 2019, Trattmann Pinot Noir Riserva 2019 e Flora Chardonnay 2013. Il Trattmann è molto raffinato. Guardare nel calice è scrutare da vicino un rubino, il cuore è trasparente, eppure il colore è ricco. Libera sentori di ciliegia e pandizenzero, lavanda e cardamomo. In bocca ricorda il succo di melograno e nel finale lunghissimo si sentono il chicco del caffè, la felce e la foglia di alloro. Tannini piccolissimi e ben integrati.  

Flora Chardonnay 2013: non mi piacciono i vini bianchi rotondi, ma questo Chardonnay così maturo, così pieno, insieme al tuorlo d’uovo marinato del carpaccio, ha il naso della tagliatella nella pentola che bolle e la bocca del gelato alla crema del Vivoli. E alla fine quella scia sapida, quasi di guscio d’ostrica, che chiude il sorso, lo rende appetitoso, accattivante.

In abbinamento ai maccheroncetti al ragù di coniglio, olive taggiasche e zest di limone, Curlan Pinot Noir Riserva 2019, Vigna Ganger Pinot Noir Riserva 2018 Mazon e Curlan Chardonnay Riserva 2019. Bere il Curlan è come entrare in una cattedrale gotica; pensate alle prime tre cose che vedete: l’austerità, la lineare tensione verso l’alto, la pietra nuda – senza stucchi e belletti, e in alto i rosoni policromi, più rossi che blu. Eccolo là, il Pinot Noir. Ha un ventaglio odoroso di mora di gelso, timo, rosa canina e pietra focaia. All’assaggio sfodera la sua naturale raffinatezza, con accenni balsamici di eucalipto e speziati di cumino. La trama tannica è ben cesellata e la persistenza è appagante.

Accompagnano il filetto di manzo, patate, cardoncello e olio al timo il Vigna Ganger Pinot Noir Riserva 2016 e il Vernatsch Aus Gschleier Von Alten Reben (Schiava) 2015.

Il Vigna Ganger Pinot Noir Riserva 2016 è granato lucente, all’olfatto arrivano i piccoli frutti rossi, in particolare il lampone, e il fiore del rosmarino, su un delicato sfondo di marzapane. In bocca ha un impatto elegante, il volume liquido è sottile e gli accenni di arancia accompagnano il cioccolato, con un retrolfatto di pineta di mare. I tannini saporiti e la buona dote alcolica sono ottimi compagni della succulenza del filetto, mentre la nota fumé va a nozze col cardoncello. Vernatsch Aus Gschleier Von Alten Reben (Schiava) 2015: “Gschleier” indica una collina morenica di 450 metri di altitudine, dove nel 1950 sono stati rinvenuti i reperti di un’antica guarnigione romana. Qui vengono allevate le viti di Schiava, vecchie di 80-100 anni. Oscar Lorandi ci racconta che da qualche tempo Girlan è impegnata in un progetto di rivalorizzazione e tutela del vitigno e, nonostante le rese molto basse, anche di promozione. La resa è infatti circa 50 ettolitri per ettaro, il che rende il raccolto praticamente un tesoretto. Durante l’assaggio comprendo la ragione di tanta pervicacia nel tutelare e promuovere il vitigno: intanto, questa Schiava è molto diversa dalla altoatesina comunemente conosciuta. E’ un vino complesso, intrigante, poliedrico. Dei sentori comunemente riconducibili al varietale mantiene l’ibisco e la ciliegia, il legno di cedro e la macchia mediterranea, ma si aggiungono incenso e caucciù, forse anche ceralacca. Inoltre, l’annata in degustazione dimostra un discreto potenziale evolutivo: ha 7 anni e ne dimostra 2.

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