Il Buttafuoco Storico dell’Oltrepò Pavese

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La provincia italiana racconta storie spesso comuni all’intera superficie dello stivale, fatte di decenni passati a consumare lotte sanguinarie tra fazioni, nell’intento del piccolo agglomerato urbano di ottenere la propria autonomia dalla grande città e perché no, la supremazia di battaglia sui confinanti. Questo imprinting di lotta eterna tra guelfi e ghibellini si è evoluto nel moderno istinto al campanilismo che tutt’oggi anima i residenti di provincia, i quali per un beffardo paradosso non riescono quasi mai a promuovere il proprio territorio a turisti e visitatori, eppure nel confronto col paese vicino non temono di affermare con orgoglio di essere i paladini della tradizione locale.

Anche l’Oltrepò Pavese racconta la sua storia di scontri tra fazioni, di divisione in una miriade di feudi e marchesati, fino a diventare oggi quel fazzoletto di terra a sud del fiume Po racchiuso tra Piacenza, Tortona ed il confine con la Liguria.

Fino agli anni ’60 l’Oltrepò era la cantina dei milanesi: il vino mosso sbaragliava le tavole meneghine e nel 1970 l’ascesa di questa cultura vinicola fu suggellata dal riconoscimento della DOC Oltrepò Pavese. Gli anni 80 – e il fenomeno del metanolo – hanno imposto a questa zona, ormai snobbata dalla nuova Milano da bere, di decidere cosa diventare e perciò sancito un prima e un dopo nel percorso di affermazione della propria identità. L’emergente generazione di produttori ha scommesso sulla qualità e riscattato il proprio territorio, e alla fine degli anni 90 anche Milano, madre e matrigna, ha riscoperto il piacere della rinnovata Bonarda.

Nata come sottozona della DOC Oltrepò Pavese, il Buttafuoco è divenuto DOC autonoma nel 2010 e indica l’areale compreso tra i torrenti Versa e Scuropasso, ovvero la fascia collinare della provincia di Pavia a sud della via Emilia, nei comuni Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola e Pietra de’ Giorgi e contraddistingue solo vini prodotti con i vitigni autoctoni Barbera, Croatina, Uva Rara e Ughetta (Vespolina). Senza velleità enciclopediche, e un po’ per divertimento, c’è da dire che nella DOC Buttafuoco, la Croatina non è sinonimo di Bonarda: la prima è il vitigno, la seconda è il vino prodotto da Croatina in purezza. A Novara, invece, la Bonarda è un vitigno, che tuttavia non è identico alla Croatina, perché non resiste all’oidio. Inoltre, nella DOC Buttafuoco la Croatina non è sinonimo di Uva Rara: benché i vitigni siano molto simili, geneticamente non sono identici.

Nel 1996 è nato il Club del Buttafuoco Storico, un consorzio d’impresa che oggi conta 18 produttori, i quali scelgono di rispettare un regolamento molto più rigido del disciplinare della DOC, per puntare alla vera eccellenza in un “progetto di coralità e affezione” – così lo definisce il presidente del Club, Davide Calvi. Significativo il logo ovale, a ricordare la forma delle botti pavesi (ovali perché non dovevano rotolare…), con il veliero che evoca la leggenda della flotta austroungarica, incorniciato dai due nastri rossi che rappresentano i torrenti Versa e Scuropasso. Dal 2011 il Club incarica ogni anno un enologo diverso di selezionare ed eventualmente assemblare i Buttafuoco dei vari produttori, per creare la “bottiglia consortile”.

La nostra degustazione pomeridiana si svolge nella sede del Club e propone assaggi di varie annate delle 20 “vigne storiche”, allevate in appena 22 ettari, lo “Sperone di Stradella”, su suoli incredibilmente diversi per essere compresi in una superficie così ridotta: a nord le ghiaie, al centro le arenarie e a sud le argille. Sapevo di avere davanti vini molto diversi da quelli, leggeri e beverini, quasi da merenda, dell’Oltrepò Pavese. Ma non immaginavo tanta esplosione di frutto nero e spezie, note tostate raffinatissime e tannini ben amalgamati nell’alcol. In alcuni la noce moscata si alterna alla liquirizia, in altri la spalla acida più marcata regge un sorso teso e dritto, in tutti sento quella punta di pepe verde allo stato puro che è il timbro dell’Ughetta di Canneto.

Per la cena, il Club del Buttafuoco ha scelto il Ristorante Ad Astra, dove lo chef Alessandro Folli ha predisposto un menu azzardato eppure riuscitissimo in abbinamento al Buttafuoco.

Entrée: bignè ripieno di robiola, basilico e caviale di salmone; carotina in giardiniera con ricotta di pecora filtrata e perlage di basilico; polpetta di tonno alletterato, erbette amare e calamansi. In antipasto, Capesante scottate con ‘nduja, mela marinata nel limone, caviale di acciughe e cedro candito con decorazione di nasturzio da agricoltura biologica.

In abbinamento ad entrée e antipasto, Buttafuoco 2017 firmato dall’enologo Michele Zanardo: il rubino compatto e vivace preannuncia sentori di frutta nera matura e creme de cassis, pot-pourri di fiori scuri, caffè e un insolito binomio speziato-balsamico che ricorda il carvi. Il tannino è vigoroso e perfettamente integrato ed accompagna alla chiusura interminabile in cui ritorna il frutto.  Con il finger food dell’entrée l’abbinamento è abbastanza armonico, il vino supera di misura la carotina in giardiniera, mentre la sua freschezza sgrassa bene il bignè e la struttura cesella la polpetta di tonno. Con l’antipasto di capesante, l’abbinamento è davvero audace, ma senza pregiudizio devo ammettere che spacca. La dolcezza della capasanta e la reazione di Maillard sono sigillate dalla ‘nduja, eppure per chiudere il cerchio tra lingua e palato manca ancora la virata energica, e ci pensa il Buttafuoco 2017.

Agnolotti passato e presente. Due tecniche di cottura: per il ripieno, cottura classica di brasato in pentola di rame; per il sugo, cottura a bassa temperatura sottovuoto per 16 ore. Sia la carne per il ripieno che quella per il sugo vengono tagliate a coltello. Condimento di olio di alloro macerato 20 giorni e fondo realizzato con le ossa. In abbinamento, Buttafuoco 2012: qui avverto meno la spinta del fruttato e di più uno sfondo di sottobosco secco, felce e foglia di tabacco. In bocca, tra le note di cacao ed eucalipto esce con eleganza la vena alcolica, che rende armonico l’abbinamento con gli agnolotti.

Sorpresa “fuorivia” con un’eccellenza esclusiva della provincia pavese, il culatello del Nero di Lomellina che lo Chef affina 20 giorni nel Pinot Nero. Non ho le posate, quindi attendo in religioso silenzio. In lieve imbarazzo, guardo Chiara e Selvaggia, che ridono, e il Vice-presidente del Consorzio Giulio Fiamberti, che dissimula lo stupore. Cerco di agganciare lo sguardo del personale di sala, ma mi sfrecciano tutti a fianco. Poi mi rendo conto che tutti i commensali sono privi di posate, perché il culatello si mangia con le mani, ed è un concentrato di sapidità e persistenza aromatica che il Buttafuoco 2012 neutralizza in modo sorprendente.

Dessert Mela di Soliasco (frazione di Santa Maria della Versa). Il guscio a forma di mela, realizzato con cioccolato bianco e burro di cacao, e al quale viene data la colorazione della mela di Biancaneve, contiene l’emulsione degli ingredienti di strudel, arricchita da pezzetti di mela che conferiscono croccantezza e dolcezza. Divertente rompere il guscio e gustare uno strudel “al cucchiaio”. In abbinamento, il Chinato dei Vignaioli del Buttafuoco Storico: Buttafuoco 2017 in infusione con spezie (china, genziana, rabarbaro, cardamomo, arancio dolce e amaro, cannella, chiodi di garofano e altri ingredienti coperti da segretezza), zucchero e alcol per 6 mesi in botte di legno, poi filtrato e imbottigliato. Beva molto godibile. 

Finale con stecco di zucchero filato. Una vera sciccherìa.

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