Da Lopez de Heredia la Rioja “blanca” che sfida il tempo
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“Rotolando verso sud” da Bilbao, appena si esce dal Pais Vasco ci si imbatte in Logroňo, capoluogo della regione spagnola della Rioja, situato appena 85 km a ovest di Pamplona eppure lontano anni luce dalle atmosfere da “Fiesta” narrate dal genio tormentato di Hemingway.

Muovendo quindi verso occidente il cammino di Santiago si sovrappone per un po’ alle orme dei dinosauri fino a incontrare Haro, piccolo centro abitato ma vera capitale vitivinicola della DOCa Rioja, la più antica e importante zona a denominazione “calificada” di tutta la Spagna. Il nome della regione deriva dal Rio Oja, uno dei fiumi che la attraversano, e si suddivide in Alta, Alavesa e Baja, proponendo molti microclimi influenzati dall’Oceano Atlantico e dalla Sierra de Cantabria. I suoli sono costituiti da un mix di argilla calcarea e ferruginosa su fondo alluvionale, difficili ma decisamente adatti alla vitis vinifera. Creata nel 1991, la Denominacion de Origen calificada Rioja deve molta della sua buona sorte alla presenza francese nella seconda metà del XIX secolo. Molti viticoltori e commercianti bordolesi, temporaneamente sconfitti dalla fillossera che ne aveva devastato i vigneti, decisero infatti di tentare la fortuna in Rioja, scelta come zona produttiva anche grazie al sistema ferroviario da poco inaugurato, che la poneva molto avanti rispetto alla confinante Navarra, non meno vocata per il vino, ma logisticamente scomoda e in quel tempo forse più propensa alle fieste e alle corride…
Le pratiche enologiche, nonché le barrique bordolesi, vennero introdotte in questo periodo e ancora oggi fanno parte del know-how tradizionale; si dice che maturare un vino sia quasi un imperativo per gli spagnoli, che infatti preferiscono usare il termine “elaborar” piuttosto che “fabricar” quando parlano di vinificazione e, rigorosamente, non filtrano quasi mai il vino. Da queste parti infatti si dice che filtrare il vino sarebbe come “far passare un uomo grasso attraverso una serratura”.


Ma torniamo ad Haro, Rioja Alta…Una delle bodega più antiche di Haro e di tutta la Rioja è senza dubbio Lopez de Heredia. Fondata nel 1877 e costruita vicino alla stazione ferroviaria da don Rafaél Lopez de Heredia y Landeta ha conservato, in quasi 150 anni di storia, una radicata tradizione familiare e una produzione di altissimo livello. Ancora oggi le botti vengono lasciate invecchiare nella storica cantina sotterranea costruita dal fondatore, chiamata El Calado, che si protrae per 140 metri fino al fiume Ebro, alla profondità di 10 metri. Si tratta di 12.900 barrique
bordolesi, cui si aggiungono anche 72 tini di quercia, dalle capacità variabili di 60, 100, 200, 480 e 640 ettolitri, tutti allineati lungo le pareti del Calado. Qui pochissimo è cambiato in più di un secolo. La proprietà appartiene sempre alla famiglia Lopez de Heredia, condotta ora dalla
generazione più giovane, costituita da Maria José, Mercedes e Julio César, e occupa ancora la stessa sede, chiamata la “Catedral del vino”. Tutta l’uva utilizzata viene coltivata nella proprietà e le botti vengono ancora costruite e riparate dai bottai di casa, anche l’imbottigliamento avviene in azienda. Il patrimonio viticolo consta di 170 ettari di vigna suddivisi in 4 vigneti distinti: il celeberrimo Viňa Tondonia, che è anche il più esteso con oltre 100 ettari, e gli altri non meno noti Viňa Bosconia, Viňa Zaconia e Viňa Cubillo. Da questo mosaico di terroir escono vini che prendono il nome dal vigneto da cui provengono le uve, con l’eccezione di Viňa Zaconia, i cui vini si chiamano Viňa Gravonia, per distinguerli dai botritizzati che vi si producevano una volta. Il vitigno dominante è ovviamente il Tempranillo, spesso completato da Garnacha, Graciano e Mazuelo.

Viňa Tondonia, con oltre cento anni di vita, è il vero cru dell’azienda. Alloggiato sulla riva destra del Rio Oja, giace su un suolo prevalentemente calcareo-argilloso, ottimo per i “classici” tempranillo, garnacha e mazuelo, ma decisamente idoneo anche per vitigni a bacca bianca come Viura e Malvasia, allevati nelle zone più ricche di calcare con rese molto basse (fino a 2 kg per ettaro). Da questo vigneto vengono prodotti solo vini Riserva (Reserva: almeno 36 mesi d’invecchiamento per i rossi, di cui almeno 12 in legno/almeno 18 mesi per bianchi e rosé, di cui almeno 6 in legno) e, in annate particolarmente favorevoli, Gran Reserva (almeno 60 mesi d’invecchiamento per i rossi, di cui almeno 18 in legno/almeno 48 mesi per bianchi e rosé, di cui almeno 6 in legno). I rossi dominano, come in tutta la Rioja, ma la tradizione di Lopez de Heredia propone un bianco unico nel suo genere, in cui l’arte dell’affinamento e il sapiente utilizzo del legno sfiorano la magìa


VIŇA TONDONIA RESERVA BLANCO 2005. Abv 12,5%. 95/100.

Abbinamento: risotto allo zafferano


L’annata 2005, considerata “eccellente” in Rioja, ha donato questo elisir le cui uve, Viura 90% e Malvasia Riojana 10%, vendemmiate tra fine settembre e inizio ottobre, sono state selezionate a mano e vinificate in bianco dentro tini ultracentenari. In seguito il liquido ha riposato per 6 anni in barrique usate e, dopo una chiarifica con bianco d’uovo senza alcuna filtrazione, per almeno altrettanti anni in bottiglia.
La luce lo accende sfoderando un colore giallo dorato molto luminoso, quasi brillante, con sottili sfumature topazio. L’olfatto è un ring su cui la crianza ossidativa del legno e quella riduttiva della
bottiglia si fronteggiano dinamicamente. A un primo accenno di burro salato, ancora in bilico sulla volatile leggera, seguono profumi di mango e papaya essiccati, scorza di pompelmo candita, gelée al limone, camomilla, fieno e mimosa appassita, che si alternano su echi di curry e zenzero e su rilievi di vernice, cera e burro cacao, con sottili note di miele di castagno e mandorle tostate sullo sfondo. In bocca è incredibilmente fresco e penetrante, nonostante i 16 anni di vita trascorsi (e
chissà quanti ancora gliene restano da trascorrere…), pieno ma non avvolgente, anzi sottile ed elegante nella combinazione tra la spinta del fruttato e le piacevoli note ossidate, con un sapidità finale che dilata il gusto proiettandolo ben oltre la persistenza.
Quando s’incontra un vino così è difficile non pensare al lento scorrere del tempo, alle emozioni che si provano nel volgere di una vita e alle esperienze che vorremmo cristallizzare per sempre:


“La verità è che amo pensare alla vita di un vino. Il vino è un essere vivente…e amo immaginare l’anno in cui sono cresciute le uve di un vino, se c’era un bel sole, se pioveva…e le persone che hanno curato e vendemmiato quelle uve… e se è un vino di annata penso a quante di loro non ci sono più…mi piace che il vino continui a evolversi…e se apro una bottiglia oggi avrà un gusto diverso da quello che avrebbe se l’aprissi un altro giorno…perché una bottiglia di vino è un qualcosa che ha vita ed è in costante evoluzione finché non raggiunge l’apice…e poi comincia il suo lento, inesorabile declino…e che sapore, cazzo quanto è buono…”
(cit. Maya – Sideways)

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