Un cocktail da manuale, una cornice di arte e cultura e un viaggio a Mayfair
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Il Ceppo Ristorante Cocktail Lab, Pistoia

Il lockdown non è giallo, arancione, rosso. Il lockdown è nero. Nero come la pece.

Seduta al tavolo del Ceppo Cocktail Lab, alzo lo sguardo dal liquido opalescente del bicchiere e vedo gli smalti policromi del fregio robbiano. Finalmente sento i colori. Dall’altra parte mi fissa la ruggine densa della Luna nel Pozzo, un’installazione di grande impatto con la piazza ma estremamente suggestiva, con quello spicchio di luna che esce dal bordo, a ricordarmi che ciò che si vede è proiezione e sostanza di ciò che è dentro.

Le misure di contenimento del covid-19 ci hanno tolto – tra l’altro – la libertà di improvvisare. Di questo ho voglia nelle prime ore di confort (yellow) zone… voglio improvvisare un aperitivo pre-pranzo. Cerco l’algoritmo risolutivo: un cocktail di qualità, un locale che rispetti il distanziamento e che abbia tavoli all’aperto, due stuzzichini (due!) che non guastino il pranzo e magari un volto sorridente che mi racconti anche cosa mi fa bere… Bingo! Ce l’ho, andiamo al Ceppo Cocktail Lab.

Mentre attraverso piazza Giovanni XXIII sento in lontananza la risata piena e tonda di Chiara Lomi, e d’istinto accelero il passo. Chiara, un’esperienza di 25 anni a miscelare, anche all’estero (Londra, Scozia, New York, Formentera), da 5 anni insieme al compagno Samuele, che è il re della cucina, gestisce il Ceppo Cocktail Lab. Appena mi vede decide (lei) che berrò Gin Tonic: touché! Tuscan London Dry Gin Only Ju – bottiglia n. 16 di 200, un gin dell’appennino pistoiese, secchissimo, di scarsa aromatizzazione, con tonica Pure Tonic Cortese e un’infusione a freddo di prugna disidratata, ribes rosso, cannella, chiodi di garofano, petalo di rosa e una macinata di pepe nero; sul bicchiere, una finale spruzzata di essenza di rosa canina. Il sorso è liscio e si vivacizza grazie alla tonica. E’ perfino dissetante per il leggero salato della tempura di verdure, tocco di classe di ogni aperitivo al Ceppo.

Sorseggio, spelluzzico e mi godo in sottofondo il cicaleccio di un tavolo di ventenni. Le ragazze strette nelle cinture dei loro cappotti cammello, raccontano di esami in DAD ed estetiste. I ragazzi farfugliano parole di formazioni da fantacalcio. Distanziati e rigorosamente con la mascherina.

Hanno tutti il cellulare in mano, ma non è vero che non comunicano tra loro. Credo invece che abbiano scoperto una nuova forma di comunicazione, in parte verbale, in parte virtuale, con un linguaggio del corpo che include l’interazione sui social. Non li condanno per questo, forse li invidio. In una foto instagrammata, nella reazione del compagno di tavolo che la “cuora” subito, nel successivo scambio di sguardi sopra lo spritz, nel pubblicare la storia di drink colorati e tintinnanti, c’è più interlocuzione di quanto si possa immaginare. Non meno profonda o emozionale di quella del cinquantenne che, in compagnia, fuma fissando il vuoto in piombato silenzio, che interrompe solo per citare Bukowski.

Abbiamo ordinato anche un Tom Collins, per gustare una diversa declinazione di Gin: bicchiere alto come per tutti i Collins, ghiaccio fino all’orlo, sciroppo di zucchero, succo di limone e tonica Double Dutch. Mescolato e non shakerato. Un prepotente agrumato iniziale, note di erbe aromatiche e finocchio e quell’irresistibile spiedino di doppia ciliegia candita. Chiara mi racconta che per i cocktail “classici” non c’è spazio per le improvvisazioni, la tradizione va rispettata.

L’Old Tom Gin, nato in epoca vittoriana e base del Tom Collins, è il precursore del London Dry Gin, cui lo accomuna l’ineffabile dolcezza…e in un attimo le frontiere si dissolvono, siamo a Mayfair, in una West London scintillante e finalmente covid-free, a girovagare senza fretta tra i locali storici della mixology.

E’ vero, è tuttora consentito fare poco, ma quel poco facciamolo! Rigorosi nel rispetto delle regole, ma usciamo a sentire voci e vedere colori, perché anche in fondo al pozzo capita di vedere la luna.

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