Nel crepuscolo dei primi accorci di giornata di un’estate rovente, le pietre infuocate di piazza Salvemini sembrano sublimarsi, rilasciando un calore denso e polveroso che sale dalle caviglie e avviluppa le gambe. Ho capito la funzione delle zeppe di sughero, che mi impediscono di bruciarmi le piante dei piedi!
Questo caldo penetrante mi spinge a camminare velocemente, un po’ come quando, in spiaggia, si cammina sulla sabbia che brucia; o forse è desiderio di raggiungere prima possibile un posto al chiuso che dispensi aria condizionata a iosa, mettendo a riposo almeno per un paio d’ore anche la sudorazione.
La meta di stasera è il Locale a Firenze: ci sono già stata lo scorso dicembre, ma avevo capito che un posto del genere non puoi raccontarlo se ci sei stato una sola volta, perché è davvero incredibile, a partire dalla struttura.
Si tratta di un palazzo del 1200, i cui ambienti corrispondono oggi al piano interrato: un dedalo di sale, cucine e corridoi nei quali anche i materiali e gli arredi sono gli originali dell’epoca, rimasti intatti negli oltre otto secoli.
Il palazzo venne acquistato a metà del 1500 da Bartolomeo Concini, fidato consigliere di Cosimo I de’ Medici, che lo ampliò con sale e cortili oggi destinati al bar e ristorante. La sala di ingresso è infatti l’antica corte, e l’attuale ristrutturazione è rimasta fedele all’idea di “esterno” con il soffitto di vetro e acciaio e una parete ricoperta di piante rampicanti. Qui si trova il bancone-bar più spettacolare sicuramente di Firenze, ma direi che se la gioca bene anche a livello nazionale. E i bartender sono talmente qualificati che il Locale ha ricevuto la menzione tra i migliori 50 cocktail bar del mondo.
La prima parte del benvenuto della cucina sono i classici finger-food, tra i quali mi hanno incantato la burrata di pinoli totalmente vegana fatta con latte di pinoli e pinoli tostati e il fiore di zucca ripieno di gorgonzola e ribes. La seconda parte del benvenuto è un effluvio di colori da quadro di Manet.
Burro aromatizzato al pollo arrosto, ovvero burro montato al sugo di pollo e mela arrosto. Il sapore di pollo arrosto è talmente intenso che guardo il piatto e penso che ci sia una coscia a cui staccare la pelle.
Insalata di pomodori, 10 varietà di pomodori dell’orto, mandorle crude di Avola e gel di macerazione di fragole di bosco. I pomodori sono tagliati in sottilissime fette, disposte a millefoglie. Mi ha sorpreso sentire la diversa acidità/dolcezza delle varie tipologie di pomodori e la consistenza delle mandorle, che sono….morbide! Per donare rotondità al boccone, i pomodori vengono irrorati con grasso puro estratto dal parmigiano, gel di macerazione delle fragole, acqua di pomodoro fermentato e olio al sedano.
Gamberi e fichi: fico arrosto, gambero rosa marinato, infuso di foglie di fico e grasso di maiale affumicato alla paprika. Pietanza da primato assoluto. La reazione di maillard del fico a contatto con il gambero rosa si dissolve in bocca in una miriade di scintille, rese ancora più eccitanti dal tocco di paprika.
Risoni, fegato di seppia, seppia, nero di seppia, pomodorino confit giallo e rosso e purea di limone. E’ un primo piatto (risoni è infatti il formato di pasta) molto strutturato, molto studiato e perfettamente riuscito. Lo Chef Simone Caponnetto dà qui il meglio della sua esperienza e della sua tecnica, e la purea di limone è geniale. La seppia e il fegato di seppia di solito, seppur deliziosi, lasciano in bocca una patina vagamente adesiva, che poi è ciò che piace agli amanti dei fegati, in generale. Ma in questo piatto la purea di limone neutralizza la bocca e i pomodorini confit spingono di nuovo il sapore verso l’umami.
Manzo Curanto, manzo vecchio e topinambur: il manzo è servito al tavolo con la scenografica riproduzione di un piccolo cratere di pietre incandescenti e foglie aromatizzanti. Ottima materia prima, che insieme al particolare tipo di cottura preserva la succulenza della carne.
Rombo cotto al vapore in vaporiera giapponese di bamboo con tè di spezie – chiodi di garofano, anice stellato, ginepro e 3 pepi diversi – e spolverato di pepe bianco, accompagnato dal fondo bruno di rombo e songino. Eccellente la consistenza del rombo.
Ha accompagnato la cena il Bambinuto Greco di Tufo DOCG Picoli, 14,5%. Permane sulle fecce fini per 12 mesi e affina 9 mesi in bottiglia. Giallo oro intenso e vivace, libera profumi di nespola, albicocca, papaya e cedro candito, sullo sfondo floreale di caprifoglio e pistillo del giglio. Si avvertono poi nitidi accenni speziati di sesamo e zenzero, con incursioni di cera e solvente. In bocca rivela grande struttura, con un impatto connotato da vibrante acidità e piacevole astringenza che ricorda lime e tamarindo. Nel fondolingua lascia un’impronta sapida durevole, anche nel lungo finale all’aroma di karkadè.
Dessert di pane vino e zucchero: pan brioche ammollato in uovo, latte e zucchero, tostato e caramellato con zucchero di canna, sorbetto al vino rosso e crema pasticcera al pane tostato. Con l’aiuto della spagnola pastry-chef Yaiza, Simone Caponnetto reinterpreta così in chiave moderna il ricordo della merenda dell’infanzia, che la nonna gli preparava spesso. Pane vino e zucchero è stata la merenda di tanti, anche la mia. Ed in effetti, gustando il dessert, rivedo la mamma che traffica in cucina a metà pomeriggio, col buio precoce fuori dalla finestra, e un piatto di vetro color ambra con una fetta di pane rosata e dolce, che mi porge con l’indolenza dell’autunno.