Il Poggio alle Fate di Castello di Albola è di scena al Sesto on Arno

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Quando partecipo a eventi o presentazioni nel centro di Firenze, la predisposizione d’animo è sempre positiva, anche per ragioni di …. urbanistica.

Cari Millennials, non avete idea di cosa fosse raggiungere il centro fiorentino prima dell’invenzione della tramvia. Dai gironi infernali dei viali, alla lotta al parcheggio col coltello tra i denti, arrivare in centro era come attraversare un boot camp. Oggi tutto questo non esiste più, si molla la macchina fuori città e in una manciata di minuti – e di spiccioli – si respira rinascimento a pieni polmoni.

Il pranzo organizzato da Castello di Albola per il lancio del nuovo Poggio alle Fate Toscana Chardonnay IGT, si svolge al Sesto on Arno, rooftop del Westin Excelsior, il che aumenta in modo considerevole la buona predisposizione d’animo. La porta girevole del Westin è una botola dimensionale: mezzo giro nella porta a vetri e ci si trova in un’altra dimensione, fatta – certo – di fasto e raffinatezza, ma non solo. Gli hotel dei Lungarni (l’ho scritto altre volte e lo confermo) non sono cattedrali nel deserto, come spesso accade per le strutture di lusso. Sono bellissimi ed autentici, come bellissimo ed autentico è il tessuto che li circonda. Sono bellezza dentro la bellezza, splendore nello splendore. Questo si prova affacciandosi da finestre e terrazze, come dal Sesto on Arno: là fuori c’è tutto, c’è Michelangelo e Brunelleschi, c’è Dante e Lorenzo il Magnifico, c’è il ponte vecchio e Boboli.

La tenuta di Castello di Albola, in Radda in Chianti, è da sempre appartenuta alle famiglie nobili fiorentine, l’ultima gli Acciaiuoli, che l’acquistarono nel 1480. Dal 1979 è di proprietà Zonin e conta 900 ettari, dei quali 125 vitati. Dal 2019 la coltivazione è certificata biologica. La principale produzione aziendale rimane incentrata sulle due etichette Il Solatìo, Chianti Classico DOCG Gran Selezione e il Supertuscan Acciaiolo, 100%Cabernet Sauvignon. Tuttavia, oggi Castello di Albola lancia un bianco di grande personalità, il Poggio alle Fate, le cui uve Chardonnay vengono allevate su una striscia di terra lunga e stretta a 650 m di altitudine.

Il pranzo inizia con Tartare di tonno rosso, maionese alle nocciole, chips di riso al sesamo. In abbinamento, Poggio alle Fate 2021, 14%, primo esempio della nuova filosofia produttiva aziendale, per la quale anche una parte della fermentazione alcolica viene effettuata in legno. Infatti, il mosto fiore svolge metà della fermentazione alcolica in acciaio, per poi completarla in tonneaux di rovere francese. Qui svolge anche la fermentazione malolattica, cui segue affinamento di circa 1 anno sulle fecce, con batonnage settimanale. Rimane in bottiglia tra gli 8 e i 12 mesi. Nel calice sprigiona profumi di ginestra e calicanto, melone e pesca gialla, e lascia intuire un profilo speziato di pepe bianco e uno vegetale, quasi balsamico, di arnica. Il sorso è delizioso, anche grazie ad un finale di zenzero candito che lo rende accattivante. La dadolata di tonno rosso rimane il boccone di antipasto tra i più seducenti: in bocca crea una sottile succulenza che l’abbondante dote alcolica del Poggio alle Fate asciuga senza forza. Inoltre, la dorsale acida della recente annata è l’adeguato contrappunto alla maionese alle nocciole.

Risotto Carnaroli mantecato alla crema di piselli e crudo di gamberi, accompagnato da Poggio alle Fate 2020, 13%. Squisito il piatto ed eccellente il vino, ma l’armonia del pairing è penalizzata dall’eccessiva tendenza dolce del risotto. Il vino infatti, benché fresco, non riesce a neutralizzare il boccone. In bocca non c’è silenzio. Al naso si avvertono sentori di fiore del tiglio e acacia, mela golden e susina gialla, con una curiosa impronta che insieme è agrumata ed erbacea, come di lemongrass. Al palato apprezzo il tenore alcolico inferiore rispetto all’annata ’21, che rende la beva meno spigolosa. Nel lungo finale, rimane protagonista la freschezza del morso di susina, più accentuata della sapidità.

Carrè di vitello al forno, la sua salsa, terrina di patate e funghi cardoncelli con Poggio alle Fate 2019, 12,5%. Da manuale la cottura del carrè di vitello, e la sapidità della sua salsa è stemperata dalla dolcezza della millefoglie di patate, con chiusura aromatica del cardoncello. La complessità del boccone è ben sostenuta dal Poggio alle fate 2019, dal sorso ricco e decisamente strutturato. Rosa gialla, narciso, fresia, accompagnati da un mosaico di frutta esotica matura, scorza di cedro e vaniglia. In bocca è confortante, richiama il tè al bergamotto, e svela una scia sapida ben bilanciata con la freschezza.

Siccome mi perdo in foto e chiacchiere, non ho ancora terminato il carrè quando arriva il fuori programma: Jeroboam Il Solatìo Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2016 14%. Favoloso bouquet di iris e lillà, glicine, lavanda, chiodi di garofano, cioccolato e polvere di caffè. Solo dopo avverto la frutta scura matura e la composta di amarena. Al gusto è arancia rossa, con un aroma di liquirizia e intriganti note di tabacco. Calore generoso in cui ben si inseriscono i tannini fruttati. Eccellente.

Tartelletta frangipane alle mandorle, namelaka al pistacchio, coulis di lampone e rabarbaro. In abbinamento, Vin Santo del Chianti Classico DOCG 2009. Leggendo “namelaka” sono già pronta all’ascèsi: è una crema pasticcera truccata come una mousse, che ha l’effetto collaterale del raggiungimento della pace interiore. Se poi, come in questo caso, è accompagnata da coulis di lamponi, il nirvana è assicurato. Appagata da quella consistenza di crema pasticcera travestita da mousse, mi godo il vinsanto, con i suoi profumi di datteri, caramella d’orzo, miele millefiori e curcuma. E sulla lingua si compie quel piccolo prodigio, accompagnato da un impercettibile scuotimento delle spalle, nel quale la dolcezza si dissolve in pochi secondi, per lasciare il posto al gusto fresco, ossidato e salino di tamarindo, ceralacca e caramello salato.

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