Il Butterfly è una bolla
Veranda notte 1

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Sì, il Butterfly è una bolla.

Suoni il campanello a un portoncino rosso, il personale sorridente ti accoglie nel ristorante e da quel momento il mondo sparisce dietro la porta che chiudi. Già entrare nel giardino e percorrere il vialetto lastricato fa presagire il distacco dalla realtà: intravedi il cubo trasparente che costituisce la sala, sulle cui pareti di vetro si riflettono alberi (ma sono veri o sono dipinti?), sculture di maschere giganti, canneti di luce… Poi varchi il portone e di realtà non ce n’è più per nessuno.

Il campanello fuori dal portone – che sembra di entrare in casa di qualcuno – è ormai un classico dei ristoranti stellati, l’ho visto ovunque, da Piazza Duomo a Bracali, da Atman ad Arnolfo.  Eppure non avevo mai percepito così forte la sensazione di entrare in un’altra dimensione, forse a Candalla, dove però l’idea del mondo parallelo è dovuta molto all’architettura fiabesca. Poi ho capito che la peculiarità del Butterfly è l’atmosfera: così si chiama quell’invisibile diaframma che separa un ambiente dal resto del mondo, lo custodisce e preserva i suoi elementi, che si fondono l’un l’altro fino a creare un tessuto impalpabile che permea le cose e le persone. 

L’entré – accompagnato da MC Murgo – è un allegro campionario di bon-bon salati tra i quali spicca per gusto e succulenza quello di Lambrusco con cuore di mortadella liquida, mentre trovo quello di fish and chips troppo cipolloso. Eccellente il pre-pasto creme brulé di aringa, in cui l’amaricante del cappello croccante nobilita la sapidità della crema. Ne avrei mangiate 10.

Il ristorante offre due menu degustazione dai quali è possibile scegliere singoli piatti alla carta. Non me ne vogliano gli Chef stellati, ma i menu degustazione non li reggo… Pertanto scelgo portate random di carne e pesce. Tra gli antipasti, il “Ricordo di una Paella”: astice in dolcecottura, spuma di patata allo zafferano, croccante di riso e miniature di Paella in caduta libera. L’astice è delicatissimo e le gocce di riduzione di paella cospargono la striscia di croccante di riso come dei simpatici smarties.   

Nelle “Ortografie marine” il pescato d’amo è accompagnato dall’estrazione di finocchio e arancia, fresca, aromatica e leggera, e dal carciofo Morello in due consistenze, morbido e croccante: il cuore del carciofo è stufato e mi ricorda quelli che a Firenze chiamano i carciofi ritti al tegame, in cui il cuore è morbidissimo ma mantiene tutto il suo carattere. Ma il tocco stellato che, per originalità e gusto, vale tutto il piatto è il caramello al Cynar, dal sapore retrò, che mi riporta ai primi anni 80, con quei bicchierini di vetro spesso e graffiato che si distribuivano agli zii a fine pasto e che emanavano un odore di zucchero e verdura. 

Intrigante la “Battuta di caccia”: filetto di Capriolo battuto al coltello marinato al Gin botanico delle Dolomiti, servito con il suo fondo profumato all’arabica e carota naturale sulle braci. Il Gin si sente poco, mentre avrebbe potuto dare più personalità al capriolo, tuttavia la carota arrostita lega tutti i sapori e gli aromi. 

Indubbiamente di grande impatto il “Black”: controfiletto di Angus Toscano selezione Carlo Giusti cotto al carbone, millefoglie di patata fondente al pepe di Timuth, scalogno tostato e salsa bagna cauda. Carne tenerissima e succulenta che ricorda i pranzi della domenica nelle case toscane, quando tanto il caminetto è acceso e la brace richiama bistecche nel filetto da gustare con le patate arrosto. Il piatto è solcato da minuscole barchette di scalogno colme di bagna cauda – sembrano ninfee che raccolgono rugiada. L’Angus trova la divina armonia con la millefoglie di patata, perché il fondente asciuga la succulenza della carne e amalgama il boccone, mentre il pepe di Timuth espande l’aromaticità.  

La “Passeggiata nel bosco” è un soffice di castagna a forma di fungo con cioccolato Gran crù, meringa, croccante e mirtillo, accompagnato da un cremoso allo Chartreuse. A parte lo scenografico effetto “fumante” attivato al momento del servizio, il dessert è delizioso, non è stucchevole, e la meringa, dopo un primo effetto crunch, diventa assorbente di tutto ciò che accompagna.

La cena si conclude con la piccola pasticceria, servita con un ramo d’ulivo sul quale è applicata un’oliva che in realtà non è un’oliva, bensì un confetto morbido e agrodolce. 

La piccola pasticceria è raffinata, golosa in accompagnamento al caffè. Ma l’oliva no, non mi è piaciuta. A mio parere le esperienze culinarie possono concludersi in 3 modi: con la bocca dolce, con la bocca di caffè o con la bocca di champagne. La finta oliva non è nessuna delle tre.

E non ha nemmeno la funzione di riequilibrare la bocca, perché essendo prodotta con olio d’oliva non è né mentolata né balsamica, ma anzi vagamente untuosa.

Il pasto è stato accompagnato da Champagne Larmandier-Bernier Longitude Premier Cru Extra-Brut, che deve il suo nome al fatto che i vigneti utilizzati rientrano nel 4° meridiano, che passa per Vertus, Oger, Avize e Cramant, sulla Cote de blanc. E’ un sensuale connubio tra agrume e gesso, pompelmo e nocciolina, ma soprattutto cedro. E il mosaico agrumato è seguito dai sentori di pasticceria, pasta frolla con confettura di albicocche, frutta esotica e zenzero candito. Perlage fitto, di straordinaria eleganza.

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