“Per-du-ta-men-te
Non un gior-no di me-no
Al-ba di a-u-tun-no” *
Visitare Castello d’Ama è come cadere nella tana del coniglio e trovarsi nel paese delle meraviglie: non c’è la fretta, perché non c’è misura convenzionale del tempo; non c’è compromesso, perché l’Apparita viene bene solo in quel pezzettino di vigna e va bene così, si fa a meno delle grandi quantità. E c’è una straordinaria concentrazione d’arte, talmente ben inserita nel tessuto del borgo che non la si ammira, non la si osserva, bensì la si vive. Roba da far invidia a Marina Abramovic. Dal 1999, ogni anno in epoca di vendemmia, Castello d’Ama seleziona un artista di fama internazionale al quale affida il compito di realizzare un’opera da inserire nella struttura stessa del borgo, con la missione di interpretare il luogo come elemento di coesione tra uomo e natura.
E così, tra una passeggiata nei filari e una foto al panorama, ci si trova – del tutto inconsapevoli – dentro l’opera: il ventre della cantina è anche ventre dell’uomo, e al soffitto sono appese tante riproduzioni in vetro soffiato degli organi del corpo umano. In una parte del giardino c’è un labirinto realizzato con la riproduzione di tutti i muri del mondo, ma più piccoli, perché possano essere scavalcati. Poi si crede di entrare in una cripta e invece si è dentro a un foro stenopeico che mostra un’ampiezza di panorama che l’occhio non riuscirebbe a vedere…
Nella sala di degustazione, Marco Pallanti (enologo di Castello d’Ama, persona di una delicatezza e raffinatezza introvabili) mi invita a sedermi accanto a lui. Vi siete mai ascoltati mentre raccontate una fiaba a un bambino? C’è sempre il tono delicato, ma non affettato, di chi vuole colmare gli occhi curiosi senza l’arroganza di impartire lezioni. Così mi racconta il Purple Rose, che dal 2017 viene prodotto con una nuova metodologia, vinificando parte del mosto in barrique, e poi con salasso effettuato dopo circa 12 ore di contatto con le bucce.
Al naso, arriva per primo l’aroma di lavanda e di erbe aromatiche, seguìto da un intenso profumo di anguria e fragola. All’assaggio, difficile esprimere a parole la pienezza di bocca, l’esplosione di gusto, la croccantezza di frutto che dà voglia di masticare. Straordinario l’equilibrio tra alcol e acidità.
Degusto poi diversi altri vini, tra i quali l’Apparita, nelle due annate 2008 e 2018. L’aspirazione a creare grandi merlot in Toscana trova qui una delle sue migliori rappresentazioni. Un vino che alla forza ed al carattere unisce l’eleganza di una trama tannica di seta, un gusto fine che dona alla sua bevibilità una piacevolezza che non finisce. Un rubino che splende di luce propria.
Ma la vera sorpresa è l’Haiku. 50% Sangiovese, 25% Merlot, 25% Cabernet Franc. Marco mi fa osservare l’etichetta, con quella banda grigio argento che simboleggia lo specchio nel quale il degustatore vede se stesso, un invito all’introspezione, perché assaporare è prima di tutto evocare polaroid e aprire cassetti della memoria. Mi racconta che l’Haiku è essenziale, come il componimento poetico da cui prende il nome; per questo viene definito un vino di facile lettura: non ci sono interpretazioni tra le righe, la sua essenza è tutta in chiaro. Ma l’Haiku è anche la voglia di raccontare una cartolina dal Castello d’Ama che trasmetta le suggestioni del luogo, della natura e delle stagioni, con uno stile senza orpelli, e che comunichi un passo verso il futuro. Per questa ragione il cavaliere stilizzato nell’etichetta – che rappresenta la tradizione di Ama – lascia il centro della scena e fa un passo in avanti, a dichiarare che si muove verso un concetto nuovo.
L’impatto olfattivo all’inizio è solo fruttato di frutti rossi (specialmente ciliegia) ma poi arriva il muschio, il sottobosco e si arricchisce di resina e cacao, con una spiccata nota balsamica. Al gusto, il frutto è polposo e il volume liquido si schiude all’avvolgenza eppure rimane elegante, anche nel lungo finale di bocca quasi mentolato.
Al Castello di Ama si comprende appieno il valore dell’esperienza, per l’arte come per il vino: non ci sono opuscoli da leggere per prepararsi. Si va e si vive quello che offre, con disincanto.
* L’Haiku è un componimento poetico nato in Giappone nel XVII secolo. È composto da tre versi per complessive 17 “more” (e non sillabe), secondo lo schema 5/7/5.