Il G.Punto 2018: un nome ammiccante e un’etichetta vivace
Degustaz Duemani

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A Riparbella, il Chianti delle colline pisane fa un ideale golfo rivolto verso l’occidente, la brezza marina si toglie il soprabito della salsedine e indossa gli umori della macchia mediterranea che deposita con parsimonia sulle bacche calde del solleone di luglio.

Da qualche mese giro come una trottola tra aziende vinicole e cantine, chef e produttori, per questa nuova ispirazione di condividere esperienze di cibo e di vino o, come si dice oggi, di storytelling emozionale. Vedendomi così intenta a visitare e degustare, un carissimo amico, maestro di vita e di viticoltura, all’inizio mi prendeva in giro, ogni tanto leggeva i miei lavori e mi canzonava, poi un giorno sentenziò: “Se vuoi continuare a scrivere di vini e cantine, devi andare dal boia vero”.

Balbettai qualche richiesta di chiarimenti, mi scrisse un nome e un numero di telefono e calò il carico: “la produzione di vini eccellenti si riduce ad un’unica formula: saper miscelare, di volta in volta, la passione e la competenza. Se nel singolo caso debba prevalere l’una o l’altra, lo sceglie l’istinto del produttore. Che in questo caso è anche uno dei migliori enologi d’Italia”.

Della serie …no ma non ti sentire sotto pressione

Appena arrivata alla DueMani incrocio, nell’ordine, il panorama sul mare e lo sguardo di Luca D’Attoma. Sposto gli occhi dall’uno all’altro, tipo pendolo di Foucault, per trovare la soluzione di continuità, che però non c’è. Luca ci descrive i vigneti, con i loro pali di castagno che arrivano direttamente dall’Etna e i loro Guyot e Alberello. Ci racconta una composizione del suolo di argilla e calcare, che inizialmente fu considerata riottosa alla coltivazione della vite e che invece si è rivelata, negli anni, un elemento determinante per le caratteristiche dei vini DueMani. Ascoltandolo inizio a sentire odore di genialità. Ci ricorda infatti che produrre in biodinamica significa molto più che rispettare i cicli della natura: il produttore che scommette sulla biodinamica non può avere altre priorità che la natura stessa. Ci porta in cantina, un mosaico di materiali e colori dove i tini di cemento a tinte vivaci si alternano ad anfore, orci, barrique – legno nuovo e legno vecchio – la cui scelta è di volta in volta fondamentale per determinare le caratteristiche del vino.

Ci spiega la differenza tra l’anfora, che con il suo impasto compatto nulla cede al vino che vi matura; l’orcio, in cui la terracotta d’Impruneta a grana larga fa sì che il vino respiri l’esterno; e la barrique, che con il vino interagisce in uno scambio simbiotico. Il suo parlare è un condensato di etica, sapienza ed esperienza.

Poi saliamo nella barricaia, il ciel che è pura luce, dove l’ìndaco di pareti, soffitto e pavimento si fonde con un profumo intensissimo di pesche all’aleatico e un sospiro balsamico di rovere nuovo.

Ci spostiamo nella sala degustazione, costruita intorno a un panorama fitto di isole: Capraia, Gorgona e uno spicchio d’Elba. Le veneziane filtrano la luce del mezzo pomeriggio e si crea da subito un’atmosfera intensa, professionale ma non impostata, a momenti anche ciarliera, che accompagna una degustazione di altissimo livello sia per la qualità dei vini che per le parole di D’Attoma. La degustazione comprende tanti assaggi, tra i quali i due che rappresentano i vini di punta: Duemani, 100% Cabernet Franc, il vino top dell’azienda che, come nel Bordeaux, porta il nome della stessa e che nulla ha da invidiare a un Bordeaux del Medoc. E Suisassi 2017, 100% Syrah, che a Riparbella trova l’habitat naturale per l’elevata esposizione alla luce solare.

Chi scrive di quest’azienda – e di Luca D’Attoma – scrive sempre di Duemani e Suisassi: sono vini oggettivamente strepitosi. Ammalianti, magnetici, di grande equilibrio, entrambi risultato più che della tecnica, di un’interpretazione personale dell’enologo.

Eppure, sulla via del rientro non riesco a smettere di pensare alle due sorprese della degustazione: il “Si” e il G.Punto. Non vivono ancora sotto le luci della ribalta come i fratelli più famosi, ma hanno grande personalità e, soprattutto, sorprendono.

Del rosato Sì 2018 mi sorprende anzitutto la bottiglia, elegantissima con quel vetro satinato per preservare il color quarzo rosa, perché l’opacità, talvolta, non è mancanza di franchezza ma strategia di protezione, come il velo della sposa – sarà il nome del vino, che vi devo dire! Syrah in purezza, solo anfora, un po’ di malolattica, niente zuccheri residui. Un naso intenso di pompelmo rosa, fragoline di bosco e un delicato richiamo alla brioche appena burrosa. Il sorso è teso, diretto e molto godibile.

Il G.Punto 2018: un nome ammiccante e un’etichetta vivace che preannunciano un vino decisamente poliedrico. Già il fatto che si tratti di 100% Grenache coltivata sulla costa Toscana è di per sé straordinario, ma dalla trasparenza – tipica dei vini da questo vitigno – mi sarei aspettata un naso familiare e un gusto appagante ma senza sorprese. Mai pregiudizio fu più infondato. Frutti rossi, ribes soprattutto, rosa canina, ciclamino e dopo un po’ esce uno zenzero birbante che non sta alle regole. Proprio perché fermentato in orci di terracotta, il vino mantiene le caratteristiche identitarie del vitigno. Perciò, quando arriva nella barrique (dove sosta per 12 mesi) la sua personalità è già scolpita, e a quel punto si lascia adulare solo dalle note di spezie, in particolare la cannella, e un aroma di alloro che lo fa laureare a pieni voti.

In bocca il frutto è succulento e semplicemente rinfrescante, come masticare una ciliegia appena tolta dal frigo…

Salutiamo DueMani ancora inconsapevoli di aver partecipato ad una degustazione forse irripetibile, e il tramonto ci regala cartoline di una terra che negli ultimi vent’anni ha scoperto la vocazione per la vitivinicoltura di qualità, grazie a interpreti come Luca D’Attoma, che hanno saputo trasformare le potenzialità in eccellenza, generando emozioni che sfiorano l’anima di ogni wine lover.

 

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