Siete mai stati a Montecarlo di Lucca? Andateci. “Siede sulla cima di un poggio quasi isolato, alla cui base scorre verso scirocco la Pescia Minore o di Collodi…”.
Intanto, “Carlo” del nome Montecarlo è Carlo IV, quello famoso, la cui importanza è dovuta non tanto alla circostanza trascurabile di essere poi divenuto imperatore, quanto al fatto che ha aiutato Lucca a liberarsi dai pisani…
Lasciate l’auto fuori dal borgo e percorrete a piedi la via principale. Da Castruccio Castracani a Pietro Accolti, da Sant’Andrea alle Quattro Porte, tanti saranno i richiami alla storia di questo borgo medievale, in cui tutto è spolverato e tenuto in ordine, eppure l’insieme non è finto né stucchevole. E poi ha questa capacità, non banale, di far vedere tutto dall’alto.
I borghi medievali sono spesso – e non a caso – arroccati su promontori, ma altrettanto spesso sono occlusi e costretti… Montecarlo, invece, è tutta un affaccio. E ovunque, quel panorama semplice eppure straordinario vi terrà inchiodati con i gomiti sulle balaustre e sui muretti.
E proprio fuori dalla Porta…., dove il panorama vi viene incontro e vi abbraccia, vi attende il giardino del ristorante Forassiepi: 200° di skyline di campagna toscana DOC.
Sono andata a pranzo al Forassiepi in piena zona gialla, dopo quel terrificante intercalare di rosso e arancio cupo, pertanto la disposizione d’animo era già orientata alla forte positività. Il panorama è il protagonista assoluto non solo della terrazza – godibile in estate – ma anche dell’interno, grazie alla parete lunga piena di finestre. Entrando in sala non avverto affettazione, complice forse la luce distensiva che, all’ora di pranzo e con il sole, entra abbondante e rilassa i toni e i modi. Il personale di sala è ineccepibile: alti livelli di professionalità.
Il menu comprende una scelta molto vasta di pietanze di carne e di pesce, e poiché lo chef Antonio Pirozzi ha fama di avere il mare tra le dita, scelgo di provare due dei celebri “Primi d’aMare” e due dei “Secondi con il mare in bocca”.
Una carta dei vini eclettica, con centinaia di etichette per oltre metà italiane e per il resto delle migliori zone vitivinicole del globo. Mi sorprende l’accuratezza e la competenza della selezione, rispettosa dei grandi nomi ma anche attenta ad alcune chicche enologiche per intenditori.
Dopo aver assaggiato gli spaghetti con gambero rosso, polpa di riccio e panatura al nero di seppia ho capito che è stato colpevolmente dimenticato di dichiarare la panatura al nero patrimonio dell’umanità. Infatti, mentre la polpa di riccio ammanta e seduce la bocca, tanto da farmi socchiudere le palpebre, la panatura al nero mi costringe a sgranocchiare: l’armonia c’è tutta. Ma non avevo ancora assaggiato il risotto mantecato al pomodoro, burrata, tonno appena scottato e caviale di limone. No vabbè, il caviale di limone: cinque o sei piccolissime sfere semitrasparenti capaci di dare equilibrio al riso e alla burrata, nonché di accompagnare il tonno appena scottato con quell’impercettibile crepitìo al contatto col palato.
Per i secondi piatti, nel cuore di baccalà al forno con tortino di ceci, olio al rosmarino e cipollotto in agrodolce, è divertente l’inganno visivo che il tortino sembra polenta ma non lo è. E il tonno su gazpacho tiepido con puntarelle, sfere di burrata, acciuga e polvere di cappero è una vera tavolozza del pittore, nella quale tuttavia intercetto un piccolo difetto. Nutro un culto ai limiti dell’ortodossia per le puntarelle, e ne vado talmente pazza che per un piatto di puntarelle venderei la primogenitura – se l’avessi. In questo secondo piatto la puntarella è, alla maniera un po’ “nordica”, lasciata intera. L’ho trovato svilente per la puntarella, ecco.
Notevole anche la carta delle “Dolci Tentazioni”, tra le quali spicca il cremoso al fior di latte con cachi, amaretto e crumble al cioccolato: non è consentito chiedere di più all’umana sapienza.
Il pranzo è accompagnato da uno Chateauneuf-Du-Pape bianco Roque Colombe 2014. Roque Colombe è un blend di Grenache blanc, Roussane, Clairette, Bourboulenc e Picardan, allevati su un suolo sabbioso ricoperto di ciottoli levigati. Dopo la delicata vinificazione in bianco, parte del vino viene maturata in acciaio e parte in barrique per 6-8 mesi. Le sensazioni, a sette anni dalla vendemmia, sono quelle di un vino che deve ancora sviluppare pienamente la sua dote fruttata, ma già si percepiscono pesca bianca, susina mirabelle, pera e pistacchio, con floreale di ginestra e citronella. Sullo sfondo si avverte la polverosità dei ciottoli, quella sollevata dalle folate di mistral, quasi un ricordo di calce viva. In bocca il frutto è saporito e al palato l’acidità è ancora protagonista. La persistenza aromatica sostiene l’abbinamento con tutti i piatti scelti, in particolare col risotto.
Lo chef Antonio Pirozzi è un impressionista dell’arte culinaria, un mago dell’armonia delle pietanze, e i piatti sono davvero di alto livello, al pari di molti ristoranti stellati.
Ed infatti, mentre torno a casa sento in testa quella pallina da flipper che sbatte contro le pareti… quella sensazione di essermi dimenticata di qualcosa… Ah, ecco: ma una stella no?
4 Primi piatti di pesce a 18-20 Euro
6 Secondi piatti di pesce a 24-28 Euro
6 Dessert a 8 Euro e 3 sorbetti a 7 Euro